Grand Budapest Hotel - Wes Anderson (2014)
Infrangere le manualistiche consuetudini dell' obliquità e del decentramento
del soggetto non mi pare cosa particolarmente trasgressiva, senonché trovo
interessante l' ossessione di Anderson per l' inquadratura faccia-a-faccia. La
caratterizzazione degli animi si raggiunge così attraverso/nonostante la
fissità. Proprio come in una striscia di C.M.Schulz (secondo me il più
importante ispiratore del regista) tutti sono visti frontalmente o di profilo,
impegnati in immobilità composte e in azioni quasi mai aleatorie. Non c'è
trastullamento, non c'è vuoto, non c'è ambiguità. Eppure, in questi mondi
artificiali di perfetta progettazione, abitati da creature per lo più
obbedienti alla linearità delle architetture, vige una profonda vaporosa
pazzia. Coinvolti in reazioni a catena di tratto comico, tipico del cinema
mimico senza parole, i personaggi non si ribellano ai ruoli, ma perseguendoli
in un universo mutevolissimo ne subiscono impassibili ogni perversione. Gustave
persevera nel profumarsi con la stessa fragranza nonostante sia imbrattato
dalla testa ai piedi, Zero continua a dormire in una modesta stanzetta
nonostante non sia più un lobby boy. Il Grand Budapest Hotel è l' emblema di un
folle disperato sogno d' intaccabilità, di resistenza al tempo che tutto divora.
Ecco, ciò che più affascina è la costante occupazione di un centro (visivo, emozionale,
tematico) che, sorpresa, tende verso i lati, e oltre. Di solito uno spostamento
di macchina, come un rapido voltarsi, svela un evento, una figura, un' immagine
angolare ma essenziale. Allo stesso modo, al di là dello scoppiettio visivo,
dell' esplosività narrativa e dell' esubero di situazioni grottesche (Sherlock
Holmes invitava a cogliere, nel grottesco, la crudeltà), al di là della
bellezza dorata alla Klimt, c' è un laterale preminente struggimento alla
Schiele. Io non conosco Zweigg, ma la sua biografia su wikiedia è introdotta da
una citazione piuttosto significativa, sufficiente cioè ad intuire il legame
con l' ultimo film di Anderson. Si parla del "dogma dell'
anti-umanità", lo stesso cui si sono ribellati Gustave (libertino e
libero) e i suoi amici.
Mi ha colpito la tavolozza cromatica (relativamente) piuttosto cupa, l' aurea mortifera che aleggia senza fare rumore, la deviazione splatter che non diverte perché non allontana. "Gran Budapest Hotel" possiede l' oscurità che spesso ricerco nel cinema, per deformazione sentimentale. Forse quindi l' ho amato più del dovuto.
(aprile 2014)
Mi ha colpito la tavolozza cromatica (relativamente) piuttosto cupa, l' aurea mortifera che aleggia senza fare rumore, la deviazione splatter che non diverte perché non allontana. "Gran Budapest Hotel" possiede l' oscurità che spesso ricerco nel cinema, per deformazione sentimentale. Forse quindi l' ho amato più del dovuto.
(aprile 2014)
grande film, dolce e meraviglioso....fantastica la recensione, stretta stretta, ma perfettamente esaustiva
RispondiEliminaNon in molti hanno amato questo film, io lo annovero addirittura fra i miei preferiti di Anderson. Grazie d'esser passato :)
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