La stanza del figlio - Nanni Moretti (2001)


Morendo Andrea si è trascinato via qualcosa di irripetibile. In vita era tale il suo riserbo che la famiglia sa poco nulla di lui. Il padre lo riteneva troppo ingenuo per rubare, troppo timido per avere una ragazza. Invece Andrea ha rubato, e ha amato.
Giovanni è uno psicanalista, ascoltare costituisce parte integrante della sua professione. Eppure sembra non possedere un vocabolario sentimentale, una dimensione espressiva del dolore. "Tu non parli mai con nessuno" lo accusa la moglie. Quando tenta inutilmente di scrivere una lettera ad Arianna, non straccia via il foglio, vi scarabocchia sopra. C'è davvero tutto in quel gesto: l' affanno, l' avvilimento, l' inettitudine.
Paola si muove più disinvolta nella sofferenza. Intuisce che si deve poter parlare del figlio, entrare di nuovo nella sua stanza, conoscere l' Arianna di cui forse si era innamorato. E' la prima ad intercettare l' anima di una questione cruciale, che il lutto ha soltanto rimestato: "Chi era Andrea?". O meglio, per diretta connessione: "Chi siamo noi?".
Già prima della tragedia la famiglia viveva solo di se stessa; ciascuno osservava l' altro ad una distanza iperbolicamente amorevolmente ravvicinata. In base a questa prospettiva distorta conosceva e si conosceva.
Arianna, un po' come l' omonima che nel mito aiutava Teseo ad uscire dal labirinto, spinge fuori dalla gabbia Giovanni, Paola ed Irene, sul filo della strada. Non ha importanza quale fosse la vera entità ed intensità del rapporto intessuto con Andrea, se sia fidanzata o no col ragazzo che l' accompagna nel viaggio ("Secondo te loro due stanno insieme?" chiede Giovanni a Paola, ma poi si affretta a rimediare: "Non dire niente"). Conta l' estraneità turbata e rivelatrice del suo sguardo, lo stesso che ci conduce verso la dissolvenza finale. Una delle riprese in soggettiva più pregnanti di sempre.

"Si muore un po' per poter vivere"

Note sparse:

-Mi ha colpito la dicotomia fra gli ambienti più insistiti nel racconto, la casa e lo studio di Giovanni. Sono palcoscenici di due differenti tipi di angoscia, cui viene impressa sensibilmente pari dignità. Da una parte il dolore come fitta circostanziata, penetrante, delimitata dal dramma della morte; dall' altra il dolore come algia "astratta", diffusa, il banale male di vivere.

-Il colloquio nell' aula presidenziale del liceo, all' inizio del film, ricrea una situazione carveriana. Almeno io l' ho immediatamente accolta come tale, e la citazione della poesia "Le dita dei piedi" è stata una bella conferma. Del resto l' intera vicenda rievoca quel racconto straordinario che è "Una cosa piccola ma buona". Ne riporto un passaggio, che trovo getti una luce particolare sulla retorica di cui Moretti è stato accusato, non del tutto a torto:


"(…) pensò quant' era ingiusto che le sole parole che le uscivano erano il tipo di parole che dicono le persone alla televisione quando sono colpite da perdite violente o improvvise. Voleva che le parole fossero solo sue."



(giugno 2013)

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