Minnie e Moskowitz - John Cassavetes (1971)


Una delle prime pellicole in cui si cita espressamente “Casablanca”. Un grande classico, che vidi quando ero troppo piccola. Non ne conservo alcuna idea precisa; certo fu un caso di “cospirazione”, come suggerisce Gena Rowlands-Minnie Moore: nolenti o volenti gli spettatori dovettero fare i conti con Rick e Ilsa. E’ il grandioso cinema hollywoodiano, (pre)potente invasore da subire ed amare, subire ed odiare. Oppure schivare; ma per schivarlo devi pur sempre dargli un’ occhiata. John Cassavetes, che osservava la gente senza alzare altezzosamente il naso, sentì l’ urgenza di affrontare la faccenda.  Lo fece da regista, scrivendo una storia piccola d’ amore piccolo, con due protagonisti pure piccoli, che di glorioso ed echeggiante non hanno davvero nulla, se non le proprie voci quando escono dai gangheri. Sbraitano un po’ tutti in questo film, per rabbia, per abitudine, per non diagnosticata follia, e qualche volta sembrano creature di un fumetto, creature minuscole che in grandi balloons si esprimono a lettere maiuscole. Di tanto in tanto, senza garbate gradazioni, i toni s’ adeguano alla misura dolente dei personaggi. Penso alla conversazione sciolta dal vino tra Flowrence e Minnie, al carattere mestamente “civettuolo” dei loro argomenti.  Mettersi a tavola, nei racconti di Cassavetes, solitamente prelude alla scoperta di una qualche ferita. Aleggia, al di sopra di quei banchetti miseri o abbondanti, una quiete apparente: se ne esce turbati.

Minnie e Seymour, un po’ come il blu notte e il blu elettrico, accostati fanno uno strano effetto. Eppure alla fine, insieme, risultano amabili. L’ evoluzione del rapporto consiste in un lento tempestoso esilarante ribasso delle proprie resistenze e degli altrui giudizi.

Ciò che fa funzionare l’ improbabile appaiamento è, almeno in parte, una condivisa intolleranza per il mediocre indefinito: l’ affetto rateizzato di un uomo sposato, il bearsi di passeggere compagnie, la solitudine annichilente. Contribuisce poi, non meno fondamentale, una predisposizione lietamente melodrammatica, colorita, ironica nei confronti della vita.  E’ una dote che immagino abbiano tutti i bravi comici. A ben pensarci somigliano ad un oliato duo comico,  felicemente caricaturale sin dai lineamenti, Minnie e Moskowitz (il nome stravagante di lei sta bene col cognome stravagante di lui).



(agosto 2013)

Commenti

  1. Il cinema è una cospirazione. E tutta la scrittura cospira affinché Minnie e Moskowitz rimangano lontani. Il regista li dispone spazialmente lontani, su due storie che sembrano scorrere parallele, ma questa non è Hollywood, non esistono storie predeterminate, si inditreggia, si barcolla, si improvvisa, oppure si fa inversione ad U come fa Moskowitz per tutto il film sul suo camioncino. Quando tutto sembra incanalato nei sldi binari della narrazione i personaggi si ribellano al loro destino, e, come due nubi, si incontrano trasportate da "un vento di follia", come nota la stessa Minnie, e allora si addensano e ne viene un gran temporale dal cielo. Che fragilità interiore questi personaggi che non sanno tenere niente dentro di loro, tutto sembra uscir loro di bocca, i loro fallimenti vengono urlati nei caffè, gelaterie, bar, la stessa Minnie inforca gli occhiali, per paura che non sfugga nulla, per paura di perdere il controllo, forse per paura di essere compresa. Che umanità fragile, ma allo stesso tempo coraggiosa che fugge da un facile destino scritto per scrivere il proprio fato.

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    1. Bellissimo commento, e che è una novità? Quel che scrivi sul personaggio di Minnie: "la stessa Minnie inforca gli occhiali, per paura che non sfugga nulla, per paura di perdere il controllo, forse per paura di essere compresa". Per risponderti, per farti capire quanto sia in linea con te, faccio la cafonata di autocitarmi. E' che faccio fatica a trovare parole ulteriori rispetto a quelle da me già investite.
      "La vitalità dirompente di Seymour è tutta volta a pedinare l’amata e a renderla consapevole della propria dedizione: è una paziente attesa truccata da frenesia. Minnie si rivela sorprendentemente il personaggio più mobile e irrequieto, pur sotto la patina di soave compostezza.(...)
      Prima di rispondere all’amore con l’amore deve attraversare la propria rovina, rassegnarsi a un passato di vulnerabilità mortificata; imparare a sciogliere i nodi dell’insicurezza, come quando viene “costretta” da lui a ballare nel parcheggio di un locale. "

      Grazie d'averlo visto Rocco, ne sono felicissima. :)

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    2. Questo immagino provenga niente meno che dalla tua tesi... hai costretto il film su una tela perfetta di aggettivi e sostantivi: la frenesia che si fa paziente, l'irrequietezza che si ammanta di compostezza soave, la rovina che si fa danza e dunque ordine e armonia. Un fiume ha sempre una fonte impetuosa e un estuario sereno, ma ha bisogno di trovare il suo letto nel mezzo. Tutte le forze si organizzano spontaneamente, e vivere, come scrivere, è un tentativo, più o meno spontaneo, di organizzare il caos.

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    3. e ovviamente sono io che devo ringraziare ;)

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