Sweetie - Jane Campion (1989)


L' esordio di Jane Campion è balordo e sbalorditivo. Considerando che dà il titolo al film, Sweetie compare tardi sulla scena, abbastanza da porre lo spettatore in attesa. Spinta anticlassica, bizzarra, come bizzarra è tutta la grammatica del racconto. Il visivo, specie negli esterni, ha una tessitura renosa che ricorda le stampe istantanee di una polaroid. Le inquadrature vagamente geometrizzanti tentano di vestire i personaggi. Kay sembra sempre inscritta, bloccata, nella cornice: emerge una figura lignea, mesta e terrorizzata, percettiva e non priva di meschinità, fatalista eppure pignolamente tenace. Sweetie è l' inesatto opposto. Ha paura anche lei, dell' estraneità, dell' inconsistenza, della vacuità dei rapporti, ma partecipa al delirio, non cammina sul mondo come fosse carbone ardente. "Sweetie", "tesoro", appellativo affettuoso che s' usa spesso attribuire a qualcuno da compatire, o tollerare, perché ritenuto stupido, folle, inconcepibile. Ci sono già tracce della sensibilità che percorre "Un angelo alla mia tavola". Donne con una vita "artistica", flebili perché illeggibili. A volte muoiono con clamore, intorno a loro la nebbia dirada.



(luglio 2013)

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