The history boys - Nicholas Hytner (2006)
Tutti gli insegnati, in quanto
tali, anche i più degni, conquistano la mia antipatia, di rado la mia
comprensione. Sono esseri umani, presupposto scontato ma trascurato, impegnati
(dati in pegno?) in una professione dai risultati dubbi e inqualificabili,
mossi da intenti necessariamente arroganti e pericolosi, subordinati ai sensi
ipersensibili degli allievi. Creature erose da amori intermittenti, piccole,
frangibili. Quali i migliori? Chi vince tra Hector- triste milite ignoto, la signora Lintott-
historyteller, e il professor Irwin- storyteller? Nessuno. Ho fatto il tifo per
qualcuno, ma senza speranza. Vince, semmai, e fuori concorso, chi (chi?) tra i
ragazzi ha conservato gli antidoti: poesia e altre “sciocchezze”. Doni
destinati ad accoglienze tiepide, false, tardive. Gran parte di ciò che ho
letto visto e ascoltato, nel momento in cui l’ ho letto visto e ascoltato, non
mi ha toccato. Perché non mi era ancora capitato (qui ha ragione il paffuto
Timms), o non ne ero stata una conscia testimone. “Breve incontro” di Lean, per
esempio, non lo capii. Meglio: non lo concepii. Eppure, con mia stessa
sorpresa, ho riconosciuto immediatamente il monologo di Laura, riproposto nel racconto
di Hytner/ Bennett da due studenti. Solo oggi posso stringere la mano che Laura
mi aveva teso; non per chissà quale corrispondenza esistenziale, bensì per una
scintilla, una fitta, una specie di puntura d’ insetto. Hector esprime il
concetto alla perfezione durante lo splendido dialogo con Posner, anche lui
omosessuale, l’ unico che il professore non abbia palpeggiato a 70 km/h (un dato
estremamente significativo). Commentando i versi di T. Hardy sul tamburino
Hodge, indugiando sugli amati termini derivati e composti, Hector tratteggia un
autoritratto: “infelice, inaccessibile, inconfessato, incompreso.” Allo sfumare
della scena ero un sottoscala buio, una stanza sottosopra, una foto
sottoesposta, una spettatrice sottochoc.
O per dirla alla Irwin, “commotionné”.
(aprile 2014)
(aprile 2014)
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