Tre donne - Robert Altman (1977)


Innanzitutto c’è un’ umanità spaventosa, che per qualche ragione mi ha ricordato i pennuti ammaestrati de "La ballata di Stroszek". Creature del deserto californiano, affondate in una primitività lorda, abbrutite dalle livree del pudore anziché elevate dalla libera nudità delle origini.  I genitori di Pinky somigliano alla coppia di “American Gothic”, o ad alcuni miei parenti mostruosi, che mi guardano, quando mi guardano, senza vedermi, con una terribile fissità da gallinacei (appunto). Pinky, Millie e Willie vivono in questo pantano prosciugato, nolenti o volenti vi si nutrono. Tentano di declinare il proprio essere femminile alla giurisdizione non scritta del luogo. Ma in assenza di amore i loro grembi sono celle vuote o mortifere. Si ritirano quindi nella stessa fortezza-gineceo, creando una famiglia senza velleità affettive.

In realtà fin troppi indizi conducono ad una lettura meno letterale. Il titolo stesso è probabilmente solo un astuto giochetto, magari ispirato dalla tradizione pittorica. Tre donne, proprio tre, né meno né più? Suonerà sospetto persino alle menti meno peregrine. Non mi spiace definire il film di Altman, decisamente più astratto che narrativo, un horror sull’ essere donne.  Oscillante tra la beffa e il dolore,  tra il rosso americano del ketchup e quello universale del sangue.



(aprile 2014)

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