J'ai tué ma mère - Xavier Dolan (2009)


In una scena del film Hubert (lo stesso Dolan), incazzato nero perché spedito in un collegio, chiede alla madre Chantal : “Cosa faresti se morissi oggi?”. Poi si volta e va verso l’autobus che lo porterà via, la mdp si sposta su di lei. Io, impacchettata accuratamente nella mia copertina - visibile da fuori solo la striscia del mio sguardo, si immagini una inquadratura leoniana - così inviluppata e protetta dall’ascolto altrui, mi sono permessa di sussurrare: “Morirei domani”. Qualche secondo dopo, la magnifica Anne Dorval risponde sullo schermo: “Morirei domani”. Così. Non ho raccontato questa storiella per dire quanto sono brava, non c’è bravura nel sentirsi riguardati. Semmai sta nel riguardare, che è mestiere di Dolan. La storia di Hubert mi riguarda profondamente, senza che ci siano strette coincidenze biografiche. Ma quella domanda per esempio, “Cosa faresti se morissi oggi?”, io la riconosco; se non nella formula sintattica, certo nell’ombra ricattatoria, nella vena di rabbia, nella sottile screziatura di supplica. So che la mia di madre, avrebbe risposto esattamente come ha risposto Chantal.
"J'ai tué ma mère", con le sue citazioni letterarie e cinefile (Kar-wai lo trovi persino nelle musiche, oltre che nelle nuche), ha dunque avuto su di me l’effetto di un déjà vu, a più riprese. 


Volendo astrarre dalla mia esperienza soggettiva, si può comunque parlare di genuinità del racconto, di un modo di scrivere dialoghi e situazioni che, si vede chiaramente, non è frutto di vaghe ipotesi sulla realtà ma della realtà stessa. E se non si possono ignorare le rughe del film, o meglio, vista l’età del regista, i foruncoli, ci si deve pur lasciar andare a questo cinema ondoso, che sa anche frenarsi, quando vuole, per rientrare nei margini. Paradossalmente accade quando i personaggi invece escono, dai margini, per sbranarsi di parole. Sono i momenti di nevrosi  i più belli, i più riusciti, i più “ouah!”.

Anziché morire si consolida la vicinanza inderogabile tra la madre e il figlio, rivali nell’interno, complici contro l’esterno. Sensibili, tuttavia, al tocco delicato di un terzo incluso, che ha qui come in “Mommy” il volto della splendida Suzanne Clement.


Nel fracasso verbale i corpi squassati si scrollano di dosso gli eccessi di un sentimento enorme; come nel violento dripping-splashing contro il muro, il di più scola giù, ma molto colore resta su.



(ottobre 2015)

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