Mr.Hublot - Laurent Witz e Alexandre Espigares (2013)


Spesso guarire non si può. Lo sa bene l’ossessivo compulsivo Mr.Hublot, che tale si chiama, credo, perché guarda il mondo da un oblò. “Hublot” è la finestra della sua dimora piccina, “hublots” sono gli occhialetti a fascia che indossa, “hublot” può essere inteso  l’angusto varco comunicativo tra sé, navicella impegolata nella malattia, e l’esterno, oceano tempestoso d’impazienza. Le giornate di Mr.Hublot sono ritmi matematici e spole senza sosta, calcoli e riavvolgimenti infiniti. Sono tic e tic tac. E’ già vorace il tempo in questo meccanico universo steampunk, ma è assai più spietato nell’isolotto del protagonista. Significativa la sequenza in cui osserviamo, accelerate, le sue azioni ossessive, attraverso lo sguardo in soggettiva dell’orologio alla parete. A interrompere questa serialità, come un sassolino gettato tra gli ingranaggi, interviene un cagnolino, o meglio un robottino con sembianze canine, tutto ferro e viti. Scampato  alle grinfie della strada, viene ospitato da Mr.Hublot. All’inizio è solo una cucciola vivace incombenza, ma ben presto, crescendo, diventa un’enorme sismica occupazione. Il sassolino è ormai un macigno, gli ingranaggi inevitabilmente cedono. Cacciavite alla mano, Mr Hublot riduce la creatura ad un ammasso di ferraglia in scatola. Non una scatola qualsiasi, bensì  una scatola da trasloco.

Quando guarire non si può, la rassegnazione non è sinonimo di sconfitta. Ci sono tante fibre dolenti anche in noi, gente sana, inguaribili e tuttavia curabili. Le fibre ferite della vulnerabilità e della timidezza, della sfiducia e dell’incertezza. Un reticolo che ci annienta solo se occlude, che pacato ci abita se invece accoglie. E accogliere significa ripensare gli spazi, riarredare i vecchi o inventarne di nuovi. Come fa Mr.Hublot, che per sé e per l’amico compra una casa più grande.


(agosto 2016)

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