Cirrovagazioni (29) - "I have always depended on the kindness of strangers", o del perché nonnepossopiù
Ci sono scene di film che a
cadenza regolare rivedo e ripeso, poiché il loro senso mi tocca e mi rifugge:
una è il finale di Un tram che si chiama desiderio, con la celebre
battuta di Blanche sulla “gentilezza degli estranei”. Mi è capitato di
ripensarci in questi giorni di comune emarginazione, ed ecco il motivo: mi
mancano gli sconosciuti.
Certo, mi manca rivedere amici e familiari in una prossimità spensierata,
smascherata, tenera, ma posso sempre aggrapparmi all’ostinazione della memoria
per disegnare l’altra metà dei loro mezzivolti, per colmare i vuoti che ci
separano. Più degli affetti stretti, molto più, in effetti, degli affetti
stretti, mi mancano gli affetti estranei.
Mi è inutile, ora, la passeggiata
in centro che di solito mi cura quando mi sento troppo giù o troppo su per
stare a casa: nessuno può raccogliere e preservare un frammento della mia
tristezza, né della mia felicità. E io, del resto, non riesco a pescare e
portare a casa nulla che appartenga agli altri: non una smorfia di dolore, non
una bozza di sorriso. Tutti quegli occhi, senza l’impalcatura dei nasi e delle
bocche, poco esprimono e ben poco “ascoltano”.
Il male è che di questo, pure, si
vive: della gentilezza degli estranei, e anche della loro scortesia.
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